💢 "Un insulto alla vita stessa"
In rilievo: il Maestro non è contento, gli smartphone fanno bene ai bambini, l'eredità dei Boomer e altro
Buon venerdì, amici di Relevant ✨
Come vi abbiamo raccontato qualche settimana fa, Relevant è stata selezionata per partecipare a un percorso di accelerazione rivolto a startup delle industrie culturali e creative italiane.
Vi avevamo promesso di tenervi aggiornati, ma soprattutto di coinvolgervi lungo il percorso, e allora eccoci qua!
In questa fase stiamo svolgendo una ricerca su alcuni argomenti che ci stanno a cuore e che sono alla base dell’idea che vogliamo sviluppare.
Stiamo parlando con persone che usano il digitale ogni giorno e vogliono trovare più qualità nel tempo che passano online.
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Sarà una chiacchierata informale, niente di tecnico. Ci interessa solo ascoltare.
Grazie 💜
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Nella newsletter di oggi: ormai niente è virale, l’accento da influencer e dove dovresti trasferirti.
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🔥 IN RILIEVO
I contenuti rilevanti di questa settimana.
Il primo meme creato dall’IA
Da quando OpenAI ha lanciato il suo nuovo generatore di immagini, hanno iniziato tutti a trasformarsi in personaggi dello Studio Ghibli.
Le persone hanno creato così tante immagini in stile Ghibli che le GPU di OpenAI hanno iniziato letteralmente a fondersi e l’azienda ha dovuto limitare l’utilizzo del generatore di immagini.
Nel frattempo, OpenAI ha dichiarato che il suo tool non può imitare artisti viventi. Ma lo Studio Ghibli è praticamente Hayao Miyazaki, che è vivissimo e che probabilmente sta odiando tutto questo, considerando che nel 2016 aveva definito l’animazione generata dall’IA “un insulto alla vita stessa”.
Comunque sia, le immagini in stile Ghibli sono il primo meme creato dall’intelligenza artificiale e, per dirla come Julia Alexander di Puck, “è quasi poetico e profondamente triste che il primo vero meme generativo prenda spunto dallo studio più devoto in assoluto al disegno a mano”.
Ormai niente è virale
A proposito di contenuti virali, oggi “virale” non significa più niente.
Viralflation (s.f.)
Fenomeno per cui il valore percepito della “viralità” online si svaluta progressivamente, a causa dell’inflazione artificiale dei numeri (view, like, share) da parte delle piattaforme digitali e dell’aumento esponenziale di contenuti pubblicati.
Un tempo un video virale durava mesi. Oggi sparisce nel feed dopo cinque ore. Se facevi un milione di visualizzazioni probabilmente avevi ottime chance di finire su un giornale. Oggi se ne fai 10 milioni sei solo uno dei tanti.
I contenuti si moltiplicano, la soglia per essere “notati” si alza, e ogni piattaforma gonfia le metriche per far contenti creator e inserzionisti.
Ad esempio:
Facebook è arrivata a sovrastimare le view dei video fino al 900%
TikTok considera “view” anche un singolo frame passato sullo schermo
Twitter, dopo l’arrivo di Musk, ha mostrato tweet da account privati con 0 follower che raccoglievano centinaia di visualizzazioni
Ora anche YouTube ha annunciato che cambierà il modo in cui conta le visualizzazioni su Shorts per renderlo più simile a TikTok e Instagram Reels.
I numeri che vediamo online ci dicono quindi sempre meno. Il vero impatto si misura, e si misurerà sempre più, nella qualità delle conversazioni che un profilo riesce ad attivare, nella fiducia che costruisce e nella comunità che riesce a coinvolgere.
Gli smartphone fanno bene ai bambini
Che ti piaccia o no.
Lo ha dimostrato uno studio dell'Università della Florida del Sud in cui sono stati intervistati più di 1.500 giovani di età compresa tra gli 11 e i 13 anni e dal quale è emerso che i bambini che possiedono uno smartphone riportano un benessere maggiore rispetto ai loro coetanei senza dispositivo.
Per citare alcuni risultati, i giovanissimi che possiedono uno smartphone:
dichiarano di sentirsi meglio rispetto a chi non lo ha
hanno più probabilità di passare il tempo con gli amici
sono più propensi a fare attività fisica
sono più propensi a chiedere aiuto quando ne hanno bisogno
hanno meno probabilità di essere vittime di cyberbullismo
Il bello è che i ricercatori avevano avviato lo studio per dimostrare esattamente il contrario, e cioè che gli smartphone sono dannosi per i più giovani, ma hanno poi dovuto ricredersi.
L'unico effetto negativo riscontrato è stato quello sul sonno. Come molti di noi, i bambini che usano lo smartphone a letto restano svegli fino a tardi e non dormono abbastanza rispetto a quelli che dormono con i telefoni in un'altra stanza (8,6 contro 9,3 ore in media).
Il discorso è diverso invece quando si parla di social: i ragazzini che pubblicavano più spesso sui social media avevano il doppio delle probabilità di quelli che non pubblicano mai o raramente di segnalare sintomi di ansia, depressione e difficoltà a dormire.
I genitori sono quindi avvisati: ok agli smartphone, ma non prima di andare a dormire e possibilmente senza social. Esattamente le stesse cose che potremmo consigliare a qualsiasi adulto.
I Boomer lasceranno un sacco di soldi
Più di qualsiasi altra generazione prima di loro, a quanto pare.
Oltre alle commoventi tradizioni familiari e ai ninnoli sentimentali, infatti, nei prossimi decenni le generazioni più anziane sono destinate a tramandare un'enorme quantità di valore finanziario, nel più grande trasferimento di ricchezza della storia.
Le persone nate prima del 1964, i Baby Boomer e i bambini pre-seconda guerra mondiale noti come Generazione Silenziosa, detengono il 64% della ricchezza americana, secondo la Federal Reserve, e si prevede che lasceranno ai loro discendenti 84 trilioni di dollari nei prossimi due decenni.
Lo stesso accadrà dalle nostre parti, dove i Boomer e la Generazione Silenziosa detengono quasi il 60% della ricchezza complessiva.
E meno male, perché Millennial e GenZ sono invece la prima generazione della storia a vivere peggio dei propri genitori.
Come va con gli influencer virtuali?
Nelle ultime settimane si è parlato di Zoe De Biasi, l’influencer virtuale lanciata dalla catena di palestre low-cost McFit per promuovere il proprio brand e instaurare un dialogo diretto soprattutto con la GenZ.
Come sta andando? Non benissimo.
Zoe è bella, lucida, sempre sorridente, perfetta. Fin troppo. Ma il problema non è il fatto di essere finta. Il problema è che non ha una storia, non ha una complessità, una voce autentica.
E in un’epoca in cui anche i creator umani sono in crisi di credibilità, un personaggio finto e privo di spessore non può generare relazione, ma solo indifferenza (quando va bene) o rigetto (quando va male).
Ci sono invece casi di influencer virtuali che stanno funzionando, come Lil Miquela, creata nel 2016 da Brud e che da allora ha collaborato con brand come Prada, Calvin Klein, Samsung e Dior.
A differenza di Zoe, ha una narrativa strutturata, prende posizione su temi sociali (come Black Lives Matter), ha “relazioni” e persino “problemi”. Non è solo immagine, è storytelling ed è per questo che funziona.
Possiamo quindi immaginare che in futuro i brand si orienteranno in questa direzione, magari sfruttando l’esperienza dei primi influencer virtuali, per animare personalità più o meno nuove legate al loro marchio.
Sai quante storie avrebbe da raccontarci Ronald McDonald…
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