💸 Finto benessere (on demand)
In rilievo: ricchi grazie ai meme, Seth Cohen, congedo di paternità e altro
Ieri è stata la Giornata Mondiale della Salute Mentale e ha scritto una bella puntata di Digital Journalism sul tema dedicata ai lavoratori digitali.
Se il tuo lavoro non ti soddisfa, senti il peso della solitudine, provi a lavorare il minimo indispensabile mentre sogni di fare tutt’altro, ti ritrovi a scrollare il cellulare in cerca di risposte e stai facendo i conti con l’ansia, sappi che non sei l’unico o l’unica, ma inizia a dargli l’attenzione che merita.
La ricerca di uno stile di vita in cui riconoscerci e che ci permetta di sentirci in armonia ed esprimere il nostro massimo potenziale è un argomento che ci sta molto a cuore e di cui abbiamo parlato tanto in passato, come in questa puntata, o in questa.
Se pensi che dovremmo parlarne più spesso, faccelo sapere.
Nella newsletter di oggi: Netflix e il finto benessere, forse hanno trovato il creatore di Bitcoin, e un Tiny Desk che devi assolutamente vedere ma più che altro ascoltare.
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🔥 IN RILIEVO
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Netflix, l’abbondanza e il finto benessere (on demand)
Su Netflix ci sono più di 16.000 titoli e la loro durata media (considerando tutto, dalle serie agli show che durano meno di un’ora) è di circa 2 ore.
Questo significa che per guardare l’intera libreria di Netflix ci vogliono 3 anni e mezzo di visione non-stop. Oppure 5 anni e mezzo se ti concedi 8 ore di sonno per notte. Se invece consideri il tempo medio che un italiano passa in un giorno su Netflix (circa 2 ore e mezza) per guardare tutto ci vogliono 35 anni. Senza considerare i titoli che, nei prossimi 35 anni, continueranno a uscire.
È più contenuto di quanto una persona possa (o debba) guardare in una vita, ma poco importa. Netflix è una macchina di produzione di massa di contenuti e ciò che importa è creare nuovi show, perché nuovi show portano nuovi abbonati, e i nuovi abbonati portano più denaro e giustificano nuovo debito.
Certo, nel 2019 aveva accumulato 15 miliardi di debito e il suo futuro sembrava incerto, ma stava semplicemente giocando secondo le regole del settore tecnologico, spendendo un sacco di soldi per acquisire clienti, cambiando le loro abitudini e sopraffacendo i concorrenti finché, nel frattempo, un intero settore si è trasformato.
È lo stesso principio che ha permesso a Uber di stravolgere il mondo dei taxi, così come WeWork ha stravolto il mercato immobiliare commerciale, Deliveroo e simili le consegne a domicilio, Airbnb gli affitti brevi, Spotify lo streaming musicale, e così via.
La spesa sfrenata dei giganti tecnologici è sotto gli occhi di tutti ed è ciò che il giornalista del Times Kevin Roose ha definito il “sussidio per lo stile di vita dei millennial”: autisti su richiesta, consegne di cibo, servizi di pulizia, autonoleggi, case in affitto, tutto venduto in perdita utilizzando denaro ad alto rischio nel tentativo di prendere il decollo.
“Ecco come i millennial sono arrivati a vivere come un gruppo di piccoli Raskol’nikov: apparentemente indigenti, ma in qualche modo con accesso ai domestici.” Scrive il New York Times in un fantastico articolo in cui racconta tutto questo.
Ma un sistema basato su un debito spropositato a basso costo non è esattamente sinonimo di stabilità. Le avventure di Vice che ha dichiarato bancarotta lo scorso anno dopo aver incenerito soldi per raggiungere una crescita mai arrivata, o BuzzFeed che ha svenduto le sue azioni pur di salvare la pelle ne sono un esempio.
Non a caso, ora che il prezzo del denaro è salito la stessa Netflix ha rallentato il ritmo, ha licenziato dipendenti, sono stati annullati progetti ad alto budget e dal 2022 ha introdotto le pubblicità.
E poi, a parte l’instabilità economica di tutto questo, quali sono gli effetti sul mondo che ci circonda? Cosa succede quando una città si riempie di Airbnb e i residenti non riescono a trovare casa per le loro famiglie? E quando le strade si intasano di Uber e le ambulanze arrivano in ritardo?
Alcune risposte le abbiamo già sotto i nostri occhi, ma nel mare di contenuti in cui siamo sommersi non sempre è facile vedere quello di cui abbiamo bisogno.
Non possiamo vivere più a lungo di così
L’aumento dell’aspettativa di vita registrato nel Novecento aveva portato la comunità scentifica a immaginare un futuro in cui gli esseri umani avrebbero superato con maggiore frequenza la soglia dei 100 anni, soprattutto quelli nati tra la fine degli anni 90 e il primo ventennio dei 2000.
A guastare le feste è però arrivato un nuovo studio della rivista Nature Aging che ha registrato come tra il 1990 e il 2019 nei paesi con il più alto tasso di centenari l’aspettativa di vita si sia difatti compressa.
"Stiamo fondamentalmente suggerendo che quanto arriviamo a vivere ora è più o meno quanto vivremo anche in futuro", ha affermato S. Jay Olshansky, professore di epidemiologia e biostatistica presso l'Università dell'Illinois di Chicago, che ha guidato lo studio. Olshansky ha previsto che l'aspettativa di vita massima finirà intorno agli 87 anni, circa 84 per gli uomini e 90 per le donne, un'età media che diversi paesi sono già prossimi a raggiungere.
Memare rende ricchi?
Da quando la viralità è diventata la nuova frontiera del marketing, i meme hanno smesso di essere solo una fonte di intrattenimento e sono diventati una fonte di monetizzazione e un lavoro a tempo pieno per alcuni creator.
Ma creare meme può bastare per diventare ricchi? La risposta è “dipende”.
È tornato Seth Cohen
Sono passati più di 20 anni dalla prima puntata di The O.C. ma ai millennial non è mai passata la cotta per Adam Brody e il colpo di grazia è arrivato proprio in queste settimane con Nobody Wants This.
Nella nuova serie Netflix, interpreta un rabbino che si innamora di Kristen Bell (Veronica Mars) nei panni di una podcaster affermata. È il solito Seth Cohen, ma ora è un uomo maturo, e allora è ancora meglio.
In questa nuova commedia romantica di 10 puntate, comunque, funziona proprio tutto, dai personaggi, alla trama, alla colonna sonora. Al punto da diventare la serie più vista in assoluto su Netflix in queste settimane, spodestando il fenomeno Monsters.
Il congedo di paternità piace a tutti
È quello che emerge da una ricerca condotta dal centro studi Tortuga sull’esperienza di una ventina di aziende italiane che già da qualche tempo hanno introdotto congedi di paternità più lunghi dei soli 10 giorni attualmente previsti dalla legge italiana.
Le aziende coinvolte nello studio hanno esteso il congedo in media a oltre 2 mesi (8,6 settimane) e lo hanno retribuito al 100%. L’adesione dei dipendenti è stata molto alta (circa il 70%), tutti quelli che sono andati in congedo hanno detto che lo rifarebbero e il 96% di chi non ci è andato, dopo aver avuto l’esempio dei colleghi, ha dichiarato di essere pronto a farlo in futuro.
Il 63% delle aziende dice di essere riuscita a gestire l’assenza del dipendente senza costi aggiuntivi ma solo riorganizzando il lavoro al loro interno. Alcune aziende hanno addirittura beneficiato di un impatto positivo sulla produttività grazie alla responsabilizzazione e all’evoluzione dei ruoli dei dipendenti non in congedo.
In Italia, lo sbilanciamento della cura familiare sulle donne è una delle cause della riduzione dell’occupazione femminile e della bassa natalità: allo stato attuale, per molte donne è ancora estremamente difficile, se non impossibile, conciliare lavoro e vita familiare.
Studi come questi potrebbero creare le evidenze e la consapevolezza necessaria ad adeguare la legge italiana alla direzione dettata dalla maggior parte degli altri grandi paesi europei.
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