🌀 Iperlibertà
In rilievo: benvenuta AEO, lavorare da casa rende infelici, arte fascista e altro
Oggi siamo liberi di fare (quasi) tutto.
Possiamo cambiare lavoro, città, pronome, identità, stile di vita.
Possiamo diventare personal trainer, copywriter, ceramisti, creator, ghostwriter, ghost kitchen, freelance, nomadi digitali, coach — anche di noi stessi.
E allora perché ci sentiamo così bloccati?
Perché troppe opzioni non ci fanno sentire liberi, ma stanchi.
È il paradosso dell’iperlibertà.
Ogni scelta diventa definitiva, e ogni deviazione sembra un fallimento.
Avere mille strade non significa sapere dove andare.
Nel dubbio, restiamo fermi. Scorriamo. Ci confrontiamo.
“Quello ha cambiato tre lavori in un anno.”
“Lei ormai vive in Giappone da quasi un anno.”
“Quello ha lasciato tutto per aprire un negozio di dischi a Lisbona.”
Sui social, la libertà degli altri sembra sempre più autentica della nostra.
Nel frattempo, nessuno ci impone più un destino.
Ma nessuno ci insegna nemmeno come si fa a sceglierne uno.
E così, la libertà — quella vera — rischia di trasformarsi in ansia.
Ansia di sbagliare, ansia di perdere qualcosa, ansia di non diventare mai quello che “potremmo essere”.
A te come sta andando con l’iperlibertà?
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Nella newsletter di oggi: R.I.P. prompt engineer, come votare al referendum dell’8 e 9 giugno e il viaggio in treno più lungo del mondo che nessuno ha ancora fatto.
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🔥 IN RILIEVO
I contenuti rilevanti di questa settimana.
Addio, SEO… Benvenuta, AEO.
Sempre più persone usano chatbot come ChatGPT o Gemini per fare domande, invece di cercare su Google. E così, anche il web si sta adattando.
I marketer stanno progressivamente spostando la loro attenzione dalla SEO (Search Engine Optimization) alla cosiddetta AEO, Answer Engine Optimization: l’arte di scrivere contenuti pensati per essere scelti dalle AI, non solo dai motori di ricerca.
Se prima bastava inserire parole chiave per scalare i risultati di ricerca, oggi bisogna costruire contenuti che siano utili, densi e completi — per piacere agli algoritmi delle AI come ChatGPT, Claude e Gemini.
Potenzialmente, potrebbe anche segnare la fine del clickbait.
Lavorare da casa non rende felici
Secondo l’ultimo report di Gallup, chi lavora da casa è più coinvolto nel proprio lavoro rispetto a chi sta in ufficio. Ma allo stesso tempo, è anche più stressato, arrabbiato, triste e solo.
Il motivo, secondo l’indagine, è la mancanza di connessione con altre persone: niente chiacchiere in pausa caffè, nessun confine tra vita e lavoro, zero contatto umano vero. Tutte cose che già sapevamo.
Ma siamo sicuri che sia solo questo?
Forse la riflessione sul perché lavorare da casa ci rende più stressati dovrebbe considerare alcune altre dinamiche. Ad esempio:
le domande o richieste di informazioni che in ufficio rivolgi direttamente al collega alla scrivania, da casa si trasformano in notifiche, mail e chat che intasano le nostre caselle e le nostre coscienze
mail, chat e messaggi risultano più freddi e impositivi rispetto alle chiacchiere di persona, nonostante tutti i giri di parole e le emoji che ti sforzi di usare nel tentativo di risultare rispettoso e amichevole
i manager della “vecchia guardia” non hanno saputo gestire la transizione verso il lavoro da remoto, sovraccaricando i propri sottoposti di task nel tentativo di continuare a sentirsi in controllo, evitare cali di produttività e, soprattutto, giustificare proprio il fatto che non stiano andando in ufficio
E tu che ne pensi?
Chi influenza gli influencer?
Nel 2023, il 60% della Gen Z ha dichiarato di voler diventare creator.
E in effetti, fare video su TikTok sembra molto più attraente che stare chiusi in ufficio otto ore al giorno.
Ma non è tutto oro: lavorare come influencer significa anche vivere sempre connessi, dipendere dall’algoritmo e subire costantemente giudizi pubblici.
Tanto che stanno nascendo servizi di supporto psicologico pensati proprio per loro — come CreatorCare, una piattaforma che offre terapia per creator alle prese con ansia, depressione, disturbi alimentari e instabilità economica.
Nel frattempo, altri servizi cercano di intercettare i bisogni di chi lavora online:
– Trips aiuta a proteggere i contenuti con il copyright
– Stir gestisce le finanze dei creator
– Delphi sta creando “cloni digitali” basati sui loro contenuti, così da continuare a parlare con i fan anche quando non ne hanno più voglia
Il punto è che quello del creator è ormai un lavoro vero — ma senza tutele, senza pause e spesso senza un piano B.
I prompt engineer sono morti
Sembrava il nuovo lavoro del futuro: scrivere comandi perfetti per far funzionare l’intelligenza artificiale. Ma nel giro di due anni il ruolo di “prompt engineer” è definitivamente scomparso.
Le AI sono diventate più intuitive, e scrivere buoni prompt è ormai una competenza di base, non un lavoro a sé stante.
In realtà, quel ruolo non è mai esistito davvero: più che una figura richiesta dal mercato, è stato l’ennesimo tentativo di agganciare l’hype e vendere qualche corso online.
Kanye West e l’ascesa dell’arte fascista
Kanye West ha pubblicato un nuovo singolo intitolato “Heil Hitler”.
Sì, hai letto bene.
Ed è solo l’ultima uscita di un progetto che sembra scritto per provocare il mondo, insultare se stesso e compiacere i peggiori angoli della rete.
Parlare di questo disco senza considerare il suo stato mentale sarebbe disonesto.
Ma nemmeno possiamo ridurre tutto alla follia. Perché quello che sta facendo Kanye oggi è, a tutti gli effetti, arte fascista: disturbante, autodistruttiva, viscerale, ma anche sorprendentemente chiara nel raccontare la deriva di un certo immaginario americano.
E il punto forse è proprio questo: la radicalizzazione dell’America non è solo pericolosa. È imbarazzante. È guidata da uomini risentiti, sessualmente frustrati, infantili. E Kanye, nel suo delirio, lo mette nero su bianco.
La cosa più assurda è che ai fascisti il pezzo piace.
E non si rendono conto che sta parlando anche (soprattutto) di loro.
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